Facenzio, il custode del silenzio incantato

Un albero può avere due occhi, un naso e un sorriso? Come riesce a parlare al cuore di una bambina silenziosa?

La testimonianza di Gian Piera, mamma di Gaia, ci racconta una storia speciale, tenera di amicizia, amore e fiducia.

 

Questa è la storia di Facenzio, l’albero di Gaia, o forse è la storia di Gaia e del suo albero… difficile da dire perché l’uno non può prescindere dall’altra.

Gaia ha quattro anni, dei lunghi capelli scuri e favolosi occhi blu. Adora le piante e tutti i giorni mi racconta la storia di Facenzio, il suo albero magico.
La racconta solo a me perché non parla con molte persone: è muta selettiva e da poco ha iniziato ad aprirsi un po’ di più con i nonni, alcuni amichetti, la sorellina e… con gli alberi e le piante che incontriamo nel tragitto che ci porta all’asilo.
Stiamo facendo tanti passi avanti ogni giorno e io mi sono un po’ rasserenata, ho voglia di sperimentare, con lei e per lei, cose nuove che possano stimolarla, incuriosirla e appassionarla. Gli alberi sono la nostra passione comune: stanno lì, belli e maestosi, ci accolgono e ascoltano senza nulla pretendere.
In giardino abbiamo degli ulivi e ho pensato che forse tra loro potesse esserci proprio… il nostro Facenzio. Ho immaginato che forse sarebbe stato bello per Gaia parlare con lui e non solo di lui.

Così, in un pomeriggio di sole, ho chiesto a mia figlia se per caso nel nostro giardino ci fosse il suo albero.

Per me ancora oggi è difficilissimo descrivere la sua espressione: il viso le si è illuminato, i suoi occhi emanavano luce, e un sorriso meraviglioso le si è dipinto sul volto. Tutto d’un fiato mi ha detto: “sì mamma, qui c’è il mio albero, Facenzio! Lui ha il naso, gli occhi, la bocca e le orecchie, ma non parla”.

Così, con il cuore in gola dall’emozione, le dico che se Facenzio ha gli occhi può vederci, se ha la bocca può comunicare con noi anche se non parla e, soprattutto, se ha le orecchie può ascoltare tutto ciò che abbiamo da dirgli.

Gaia ne è entusiasta e decido di concretizzare il tutto proponendole di disegnare a Facenzio occhi, naso, bocca e orecchie.

Il resto della famiglia ha poi scelto il proprio albero, e lei ha deciso che anche la nonna ne avrebbe avuto uno, dicendomi che sarebbe stata la nonna stessa a decidere quale nome dargli. Gaia non parla con nessuno al telefono, nemmeno con me, quindi pensare di chiamare mia madre per raccontarle del suo albero era utopia. La nonna ha avuto un ruolo importantissimo nel percorso di Gaia, il loro è un legame indissolubile e unico.

Invece, come spesso succede, mia figlia mi ha meravigliosamente sorpreso. Ho chiamato la nonna al telefono e Gaia, facendo i salti di gioia, tutto d’un fiato le ha detto: “io ho un albero che si chiama Facenzio, il tuo come lo vuoi chiamare?”

Io e mia madre, nonostante ci trovassimo a svariati chilometri di distanza, ci siamo ammutolite contemporaneamente e insieme abbiamo sentito lo stesso tuffo al cuore. La gioia è stata immensa, Facenzio le aveva donato quella libertà e spensieratezza che le ha permesso di lasciarsi andare e parlare al telefono.
Per tutta la serata non si è fatto altro che parlare di Facenzio… “colui che non parla ma ascolta”. Gaia ha raccontato tutto a suo padre, e gli ha pure chiesto come mai Facenzio non parlasse.

Mio marito, con molta naturalezza, le ha spiegato che gli alberi comunicano in modo differente rispetto alle persone, perché non sanno parlare, ma i bambini sì.
Gaia allora si è rivolta a me e mi ha detto che lei è una bambina che parla con gli altri bambini, con le maestre e con le mamme.

Non so descrivere la gioia di quegli attimi… posso solo dire che tutto questo è successo perché l’ansia ha iniziato a darci tregua e siamo stati in grado di dare a Gaia la possibilità di trasformare una storia semplice in qualcosa di grandioso.

Attraverso Facenzio, Gaia ha vissuto uno sblocco delle emozioni non indifferente. Realizzare che tutti i giorni, quando mi raccontava di Facenzio io la ascoltavo, le ha dato la libertà di esprimersi liberamente e di raccontare ciò che sentiva e provava. Questo perché dietro il mutismo selettivo ci sono tante cose e ad essere intrappolata non è solamente la parola: lo sono le emozioni, la voglia di esprimersi, i gesti, i gridolini di gioia e dolore che per tutti gli altri bambini sono la cosa più normale del mondo. Avere la libertà di telefonare alla nonna, per un bambino, è una delle cose più belle, ma Gaia non poteva farlo perché non riusciva.
Quando ho scoperto il Mutismo Selettivo di mia figlia, come tanti genitori sono andata alla ricerca maniacale di informazioni. Ho avuto fortuna perché siamo state seguite da un’ottima psicoterapeuta e le insegnanti di Gaia sono state meravigliose. Abbiamo collaborato tutte insieme affinché Gaia uscisse liberamente dalla sua prigione. Quel silenzio lo odiavo, mi paralizzava, mi soffocava.

Poi pian piano ho scoperto che quello stesso silenzio aveva qualcosa da dirmi, che dovevo conviverci.

Avevo letto da qualche parte che il silenzio è qualcosa che si ascolta: se volevo aiutare mia figlia dovevo fermarmi, fare un bel respiro e ascoltarlo dolcemente. Gaia è stata accolta, protetta e soprattutto il suo silenzio è stato ascoltato dalle persone che la amavano e da lui… Facenzio.

Facenzio è stato proprio questo: accoglienza, coccola, protezione, libertà senza nessuna aspettativa.
Qualche tempo prima che l’albero entrasse materialmente nella nostra vita e si concretizzasse nel mio giardino, ero venuta a conoscenza di un’associazione che si occupava del disturbo di mia figlia: A.I.Mu.Se. Gaia era già seguita da un’ottima professionista e le insegnanti mi stavano dando una grossa mano, così non ho mai preso l’iniziativa di contattare l’associazione per chiedere aiuto. Mi limitavo a leggere le informazioni sul sito e le testimonianze che trovavo nel gruppo Facebook. Ogni tanto condividevo qualcosa del nostro percorso e mi rendevo conto che era rasserenante stare lì, parlare con gli altri genitori: mi sentivo meno smarrita, la condivisione era qualcosa di fondamentale per me.

Una sera, la referente A.I.Mu.Se della mia Regione, Donatella Pes, mi ha contattato tramite il gruppo Facebook. Mia figlia stava meglio ma ero comunque curiosa di parlare con qualcuno di loro. Ci siamo sentite per telefono e abbiamo chiacchierato per ore, le ho raccontato la storia di Gaia, abbiamo ricordato Facenzio di cui avevo scritto sul gruppo e abbiamo riso insieme di tante cose.

Quella sera ho scoperto che, nonostante avessi intorno tante figure che mi aiutavano con mia figlia, io mi sentivo spesso sola perché solo chi ci è passato può capire cosa si prova. In quella chiacchierata avevo capito cosa significa essere ascoltati, accolti, protetti in un contesto a volte cosi surreale.
In seguito ho conosciuto gli altri membri dell’associazione e le impressioni avute in quella chiacchierata con Donatella non potevano che essere confermate.
Da allora ho anche iniziato, nel mio piccolo, a collaborare come volontaria. Volevo fare qualcosa, così come era stato fatto per me, essere d’aiuto per altre mamme affinché si sentissero meno sole. Mi ero resa conto che c’era bisogno di qualcuno che si occupasse anche di noi genitori, che ci ascoltasse, ci accogliesse, che in qualche modo ci proteggesse dalle nostre ansie. Quel qualcuno è stato A.I.Mu.Se: maestosa, imponente, protettiva e rispettosa del nostro dolore, pronta ad ascoltarci e capirci qualora ne avessimo avuto bisogno. L’associazione è stata il nostro albero.

Mi piace pensare che in ciascuno dei bimbi muti selettivi è presente un Facenzio… prima o poi gli parleranno, gli affideranno il proprio silenzio e così non si sentiranno più soli.

Grazie Facenzio, custode del silenzio incantato, grazie A.I.Mu.Se.

Gian Piera Giobbe.