Lettera di una maestra
Quali sono i sentimenti di un’insegnante che si trova improvvisamente di fronte un nuovo alunno che non parla? Nessun contatto, nessun segnale.
Eleonora ha saputo ascoltare il silenzio, il suo cuore e ha deciso di raccontarci, con parole emozionanti, la sua esperienza.
Salve, sono Eleonora e faccio la maestra.
Un lavoro bellissimo che adoro e che ho sempre adorato fin da bambina. Da piccola, il mio gioco preferito nelle fredde serate d’inverno era proprio fare la maestra. Allineavo davanti a me le mie bambole ed elargivo loro nozioni di storia, italiano, matematica; le mie piccole allieve mi fissavano mute, senza parlare. Già, ovviamente senza parlare…
Cercando nel vocabolario la parola “PARLARE”, viene definita come “comunicare con l’uso della parola”. Ma comunicare significa anche esprimere emozioni, sensazioni, tutto il bagaglio presente all’interno dell’essere umano.
Sembrerebbe facile, fino a quando non ti trovi davanti ai bambini veri, agli alunni che si fidano di te, della tua presenza e dei tuoi insegnamenti. Ho fatto la mia gavetta In giro per la Sardegna perché a quei tempi nominavano anche per un solo giorno e si andava avanti con le supplenze fino al passaggio a ruolo. Dopo tanto girovagare, vengo riavvicinata al mio paese, un piccolo centro vicino ad Olbia. Una grande responsabilità perché gli alunni, oltre ad essere un nome ed un cognome, erano anche figli di amici, conoscenti, parenti, quindi legati ad una componente emozionale maggiore. Bisognava comunque affrontare l’esperienza con filosofia e ottimismo.
Mi viene assegnata una classe prima, 17 alunni, tutti normodotati provenienti dai due asili presenti nella nostra piccola realtà. Si inizia a lavorare, a conoscersi, tutti disegnano, raccontano, chiedono, fanno domande, mostrano la normale vivacità degli alunni di una prima classe, vivacità nota a tutti.
Finalmente i miei alunni non erano più “bambolotti” che mi fissavano muti… o meglio, osservando bene la classe un bambino mi guardava, colorava, disegnava, scriveva, ma NON PARLAVA, NON RACCONTAVA, NON LITIGAVA, NON LEGGEVA, NON CHIEDEVA SPIEGAZIONI.
Provavo a stimolarlo con varie metodologie, a volte severa, a volte dolce, a volte spiritosa, ma il mio bambino non parlava, non chiedeva e non voleva avere alcun tipo di contatto sonoro con me né con nessuno degli adulti o dei bambini presenti all’interno della scuola; arrivava persino a farsi la pipì addosso pur di non chiedere “a voce” il permesso per andare al bagno, nonostante avesse acquisito il controllo degli sfinteri già da molto tempo.
Arrivati a dicembre ho cercato aiuto e spiegazioni alle colleghe della scuola dell’infanzia che l’avevano seguito nei tre anni precedenti e che descrivevano il bambino come tranquillo e taciturno. “DOVE LO METTI STA…” fu la frase che usarono per presentarcelo.
In quegli anni Internet non era alla portata di tutti e quindi non era facile cercare su “Google” (come facilmente si fa oggi) spiegazioni al riguardo; ma avevo letto qualcosa in merito su un vecchio libro di “psicopedagogia e disturbi dell’apprendimento”… letto, riletto e ancora letto insistentemente quelle poche informazioni che parlavano di MUTISMO SELETTIVO, disturbo che “il mio bambolotto” rispecchiava appieno.
Il suo non parlare era una silenziosa e penetrante richiesta di aiuto. Il suo silenzioso seguire le attività scolastiche, il suo apprendere la lettura e la scrittura senza mai esprimere un suono vocale, faceva più CHIASSO degli altri alunni che partecipavano attivamente alla lezione tutti i giorni. Dovevo aiutarlo.
Ho stampato poche righe trovate su Internet e ho convocato a scuola i genitori del bambino. Avevo paura, perché parlare ai genitori del proprio figlio che mostra difficoltà, non è semplice. Si mette in gioco tutto: la famiglia, la scuola, le insegnanti. Chi sono io per giudicare? “Sei tu, insegnante, che non sei riuscita a farlo leggere e parlare!!!”. Tante sono le cose che mi venivano in mente, ma il bambino aveva il diritto di essere aiutato. Mi sono fatta coraggio e fortunatamente ho trovato una famiglia attenta, aperta, non un muro da abbattere ma un traguardo da raggiungere insieme; come due binari della stessa ferrovia: scuola e famiglia. Due binari con la medesima destinazione: la serenità e l’inserimento del bambino nell’ambito scolastico.
Scrivendo queste parole, mi sono commossa e l’unico rimpianto è di non riuscire a spiegare con semplici parole i segnali importanti che il mio piccolino inviava. Mi raccomando Colleghe, ATTENZIONE, a volte i silenzi dei nostri piccoli valgono più di mille parole.
Con simpatia
Eleonora, una maestra.