SPAZIO ADULTI: pensieri, riflessioni, ricordi
Trasformazione. Cambiamento. Molte persone ci hanno conosciuto in un modo, in silenzio, e poi reincontrandole ci dicono…”ma sei tu?”. Fa piacere, perché significa che siamo ormai fuori dal mutismo selettivo, lontanissimi anni luce. Ma dall’altra parte è innegabile che scattino dentro dei pensieri su noi stessi, su quello che siamo stati, quello che siamo adesso, su come le due parti possano stare in equilibrio tra loro e su come vengano percepite dall’esterno.
Le testimonianze di Giovanna Riso, Elisa Pollio, Romina Bracchi.
Caro Professore
di Giovanna Riso.
Quando andavo al Ginnasio avevo un professore di Lettere, con lui facevamo 18 ore a settimana.
Era alto, serio e un po’ severo, sorrideva di rado e la cosa che più risaltava di lui, ai miei occhi, era una tristezza profonda; mi metteva soggezione e non riuscivo a parlare.
Lui aveva capito che avevo un problema ma non sapeva di cosa si trattasse e nemmeno come aiutarmi. L’ultima volta che l’ho visto sarà stato, credo, venticinque anni fa. Aveva problemi di salute, mi pare di ricordare. Ultimamente mi capita di ripensarci. Mi chiedo dove sia, cosa faccia, mi dico che mi piacerebbe incontrarlo. Mi piacerebbe parlargli, finalmente, e raccontargli di me, della donna che sono diventata, di come oggi sia padrona della mia vita e di me stessa, dirgli dei miei successi, delle mie vittorie. Mi piacerebbe raccontargli della strada che ho fatto e me lo immagino abbassare il viso e lo sguardo per nascondere un discreto sorriso di compiacimento.
E poi mi piacerebbe raccontargli della me di allora, mi piacerebbe che, anche lui, mi assolvesse dalla responsabilità di quei silenzi, di quelle tante e tante parole che non sapevo come fare arrivare alle sue orecchie, che mi alleggerisse da quel senso di colpa che mi è pesato sul petto per venticinque anni.
E poi mi piacerebbe che anche lui sapesse che quella cosa che mi congelava durante le interrogazioni si chiama mutismo selettivo, che non ero io a non voler parlare. Vorrei potergli spiegare cosa si prova quando qualcuno si aspetta parole da te, parole che ti ripeti mille volte e ancora mille nella mente, e ti girano vorticosamente in testa, mentre le scandisci sempre più veloci nel silenzio, nell’irrazionale speranza di trasferirle direttamente dalla tua testa alla sua, senza farle passare per la bocca e per le orecchie, perché non ce la fai, perché i tuoi muscoli sono più rigidi del marmo, e ti bloccano la mandibola. Senti la pressione e le pulsazioni delle vene sui molari serrati, e le spalle si chiudono su sé stesse quasi a tentare di ridurre lo spazio che occupi, nella speranza di scomparire, mentre le braccia diventano pesanti e così rigide che non hai più la percezione di dove si trovino i tuoi gomiti.
Vorrei dirgli cosa si prova quando pensi di non riuscire più a muovere la testa perché ti sembra che il tuo collo sia diventato tutt’uno con le spalle, e ti sale un brivido freddo dietro la schiena e ti stringe la nuca come una tenaglia, mentre il sudore freddo ti ghiaccia la pelle e tremi, per il freddo ma ancora di più per la tensione, mentre il tuo sguardo resta fisso puntato su un preciso punto lontano che non ha nessun significato.
Vorrei davvero raccontargli cosa si prova quando l’ansia te la senti nei muscoli e nelle ossa, quando ti striscia sotto la pelle e in un attimo si impadronisce di te, e ti ruba il corpo, la voce, la libertà.
La libertà di essere chi sei. E ti ritrovi muto, e non puoi farci niente. E sono sicura che, finalmente, capirebbe.
Il mio presente, il mio passato
di Elisa Pollio
A 34 anni ti fermi un attimo. Pensi al tuo presente, al tuo passato..
E’ come se da piccola fossi stata in un’altra dimensione… in un altro corpo.
“Quella non ero io, no… non è possibile”.
Contrasti che stridono: è possibile essere diventata l’opposto di quello che ero un tempo?
Cosa è rimasto del silenzio, dello sguardo fisso, del blocco psicologico quando qualcuno mi rivolgeva parola, cosa è rimasto del carattere introverso e spesso scontroso verso chi mi stava più vicino?!
A volte mi sembra di essere stata dentro un sogno, se penso alla mia infanzia e adolescenza… sapere quale sia la situazione ma senza viverla “veramente”. E’ successo davvero a me tutto questo? Come l’ho elaborato nel tempo questo disagio?
Forse questo lo so… un lungo e tortuoso percorso, difficile da riassumere in poche righe. Ma per chi mi conosceva “prima” e mi ha “conosciuto di nuovo” adesso? Chissà cosa pensano o pensavano di me, ora e allora. Ad esempio, mi torna in mente la mia maestra di italiano, che conosco da una vita; mi ha sempre trattata allo stesso modo, con dolcezza e delicatezza, coinvolgendomi nella sua vita, nella sua quotidianità, insieme alle altre compagnette di scuola. Mi sentivo come loro in quel contesto (fuori dalla scuola), come se avesse sempre saputo quello che mi stava passando per la mente, e all’epoca sapevo che lei mi capiva sul serio… o perlomeno era in gamba a farmelo credere! Per questo gliene sarò grata per tutta la vita (anche se lei non lo saprà mai probabilmente… o magari leggerà per caso questo articolo, mai dire mai nella vita).
Poi penso ai miei allenatori di pallavolo, quelli tosti, che volevano ragazze in gamba, ma io non ero all’altezza e non mi mettevano mai in squadra, perché se entravo in campo ero un ciocco di legno a testa bassa, e di certo non avrei mai preso una palla con un bagher o mai avrei fatto una schiacciata davanti ad un pubblico… quindi ero sempre in panchina (ma io lo sapevo, e li capivo… mio padre lo sapeva un po’ meno, forse si è arrabbiato troppo per cose che per me erano superate e comprensibili… forse ero troppo matura io per l’età che avevo, chi lo sa).
Penso ai miei genitori, che non hanno mai cercato di comprendere fino in fondo i miei silenzi, il mio problema. Forse non lo accettavano perché a casa ero “normale”, anche se parlavo pochissimo. Ma tanto “normale” forse non lo ero: continuavano a ripetermi che ero troppo timida e io mi arrabbiavo tanto… perché non lo ero DAVVERO. Mai son riuscita a costruire un dialogo vero con loro, anche adesso ho diverse difficoltà purtroppo.
Poi c’erano loro, i miei amici. Tanti, diversi… che nel corso degli anni mi hanno aiutato a non sentirmi sola, MAI. A loro dico GRAZIE DI CUORE. La maggior parte dei bimbi della mia età mi ignorava completamente (anche se, a guardare indietro, forse ero io che mi isolavo e non il contrario), ma quelli che mi trattavano al loro pari erano diversi, anche se si approfittavano di me, anche se facevano cose che a me non stavano bene… a me non importava. Loro mi guardavano, mi VEDEVANO, non ero invisibile e questo mi bastava. Quante delusioni ho passato, ma queste mi hanno permesso di diventare la persona che sono adesso, quindi non gliene faccio una colpa, non vorrei vendicarmi, sono pacifica; fai una cosa a me, ed io ti tratto di conseguenza, punto. Fine della storia.
Vorrei tanto sapere cosa pensavano e cosa pensano di me adesso; con la maggior parte di loro (quasi tutte le persone che sono entrate nella mia vita in un modo o nell’altro) sono rimasta in contatto, e potrei suddividerli in diverse tipologie di persone:
- Le persone che “non mi calcolavano di pezza” e che adesso fanno amiconi, come se nulla fosse successo;
- Le persone che mi ignoravano e che mi parlavano male alle spalle, quelle non credo siano cambiate nel tempo, ma son problemi loro alla fine;
- Gli amici che c’erano e mi accettavano così come ero, e che nonostante ci siamo allontanati causa città e vite completamente diverse, sono rimasti, insieme al loro affetto. Lo sento, anche se non ci vediamo quasi mai, e quando ci incontriamo il nostro rapporto penso sia migliorato, perché mentre prima assecondavo la corrente senza parlare e senza prendere una posizione, adesso riesco benissimo a comunicare e ci tengo a trasmettere il mio affetto incondizionato. Paradossalmente il rapporto con queste amicizie è migliorato perché esiste dialogo e confronto reciproco.
- Poi ci sono loro… gli amici del gruppo, di sempre. Alcuni, sinceramente li ho “scartati” con il passare degli anni, quando piano piano sono riuscita a capire chi mi è veramente amico e chi lo è per convenienza (ma questo capita a tutti a prescindere dal MS).
Riassumendo in breve… sì, la relazione con queste persone è cambiata, nel senso che adesso c’è una sorta di rapporto (piccolo o grande che sia), quando ci si vede ci si saluta, si chiacchera, si parla dei nostri bimbi, della nostra famiglia… mai cenni sul passato.
Anzi, tante volte lo tiro in ballo io, perché vorrei sapere tante cose dagli altri, ma mi rendo conto che ormai il discorso è decontestualizzato e quindi fuorviato dai ricordi ormai sbiaditi del tempo trascorso. E non avrebbe senso. O forse sì.
Con chi mi ha trattato male, insultato, offeso… beh loro non esistono più nella mia vita e se li incontro per strada, ho una voglia matta di insultarli ma non lo faccio per etica ed educazione, quella che a loro è mancata.
Ciao, come stai?
Di Romina Bracchi
È una sensazione strana. A volte mi ha messo in crisi.
Sembra che loro ti conoscano benissimo e nello stesso tempo sei un estraneo. Poi mi dico che sì, sono sempre io per loro, la voce non è che cambi poi molto le cose, nel percorso di conoscenza di qualcuno. Però è evidente, sentire per la prima volta la voce di una persona che hai sempre frequentato “in silenzio” è davvero qualcosa che spiazza, lo riconosco.
Ci sono stati tanti episodi in questi anni, alcuni davvero emozionanti, la maggior parte di questi legata al mondo della scuola. Come quando andai a suonare al campanello di casa di una ex-maestra della scuola d’infanzia. Da piccola l’avevo sempre adorata, c’era un bellissimo rapporto. Decisi che glielo volevo dire, volevo rincontrarla, ringraziarla, farle capire che le ero riconoscente, e farglielo capire a voce. Quando mi ha visto mi ha riconosciuto subito, ci siamo abbracciate abbiamo parlato sul divano di casa sua stringendoci forte le mani. Sembrava che non ci vedevamo dal giorno prima per quanta empatia c’era.
Poi ci sono stati gli incontri casuali, come quello con una maestra delle elementari o di una professoressa di italiano delle medie. Dentro di me avevo perfino dei sensi di colpa per non essere riuscita, all’ epoca, a dirgli quanto erano importanti per me, quanta umanità ci mettevano nel proprio lavoro. Infatti non finivo mai di ringraziarli, quando poi, dopo tanti anni, potevo finalmente usare la voce.
Sì, sono stata fortunata perché a scuola ho avuto molti insegnanti validi, rivederli è stato bellissimo, so che anche per loro è stato importante. Con alcuni ho sentito il bisogno di parlarne, del mio passato, spiegare quello che allora gli era misterioso, è servito a rimettere a posto dei tasselli, fare chiarezza. Con altri invece ho parlato facendo finta di niente, del più e del meno, come se fosse tutto normalissimo, e anche da parte loro c’è stata questa reazione, che, sotto sotto, era quella che volevo.
C’è stata poi anche quella volta che ho detto a qualcuno: “lo sai, io e te comunicavamo di piú senza parole” e scoppiava la risata.
In fondo siamo sempre gli stessi, mi dico.