PILLOLE di PARENT TRAINING: Ce la farà?

PILLOLE di PARENT TRAINING: Ce la farà?

Capita tante volte che i genitori dei piccoli (e meno piccoli) che vivono il mutismo selettivo guardino i propri figli affrontare una prova o predisporsi a farlo e che si chiedano: Ce la farà?

La domanda affiora nella mente e subito, nel petto, affonda una lama, che non fa sgorgare sangue, ma ghiaccia ed al tempo stesso arroventa. Il ghiaccio è quello dell’impotenza, la prova chi NON può agire e riuscire al posto del proprio “pulcino”, il fuoco è quello della tensione, la prova chi vorrebbe trovare il modo di farlo e cambiare le cose. È comprensibile che ghiaccio e fuoco avvolgano i genitori, del resto sono ciò che afferra anche i figli, che a loro volta sperimentano questi due contrari in apparente lotta tra loro.

Quello che però occorre capire bene è che ghiaccio e fuoco, ovvero impotenza e tensione, NON sono nemiche, ma risposte emotive che si attivano per prime davanti a ciò che in quel momento si presenta. NON arrivano per fare del male, ma per la ragione opposta. L’impotenza serve a fermarsi e fare i conti con la realtà, così come essa è e NON come vorremmo fosse, serve ad accettarla come dato di fatto, NON come sfortuna/fortuna o come punizione/premio. L’impotenza ci mette davanti ad un limite, che NON è né brutto né bello, né cattivo né buono, è soltanto un limite, che offre uno spazio di adattamento, per evolversi quel tanto che serve in quella piccola porzione di vita. Fino allo step successivo. Ecco perché c’è anche la tensione, essa infatti serve a raccogliere e a decodificare i dati di quella porzione di vita, per poi a dirigere le energie in una direzione coerente con la sopravvivenza.

Ne consegue che quello che ogni genitore ha bisogno di riconoscere è che lo spazio che fa coesistere impotenza e tensione è uno spazio di sospensione che va lasciato vibrare. Vibra perché qualcosa NON è ancora avvenuto e perché NON è detto che avverrà, almeno NON nella forma che si attende e/o reputa adeguato. Questo è il punto: fare i conti con la propria aspettativa di un atto/evento che se corrisponde alla nostra idea ci farà dire sì, ce l’ha fatta oppure al contrario, ovvero se NON  corrisponde, ci farà dire no, non ce l’ha fatta.

È ovvio, vorremmo che nostro figlio parlasse, che si aprisse, che riuscisse a rispondere, che prendesse l’iniziativa, che corrispondesse a quello che per noi è sano, rassicurante e adeguato. Lo vorremmo perché questo metterebbe NOI in pace, farebbe scendere la NOSTRA ansia, conforterebbe il NOSTRO animo, tutte cose condivisibili, comprensibili ed umane, ma condivisibili, comprensibili ed umane NON vuol dire anche appropriate nel tempo e nel modo di… qualcun altro. 

Un figlio è esattamente questo: qualcun altro. Prima di ogni cosa va perciò compreso ed accettato questo specifico dato di fatto.

La questione da mettere bene a fuoco è quindi che la nostra aspettativa, per quanto logica, appropriata ed auspicabile, NON necessariamente è anche la cosa migliore in quel preciso momento. Ecco perché serve uno spazio di sospensione che fa incontrare e coesistere impotenza e tensione, ghiaccio e fuoco, perché in questo modo la motivazione di ciascuno possa emergere, proprio come fa un germoglio dal terreno, tenendo conto che la motivazione di un figlio NON sempre è la medesima del genitore.

Riuscire a fare questo passaggio di prospettiva e di ragionamento per i genitori è importantissimo, perché conduce verso un miglioramento che consente di modificare la propria capacità di osservazione e la gestione delle singole situazioni. In altri termini educa alla pazienza e all’accoglienza. Quindi cari genitori mettiamola così: il fatto di chiedervi “ce la farà?” implica che possiate avere fiducia che farcela sia possibile e che per questo, anche se non in quella specifica occasione, ce ne sono state altre in cui ciò è accaduto e quindi altrettante in cui accadrà