La terapia del mutismo selettivo tra creatività e innovazione
Il lavoro clinico con i bambini muto selettivi costituisce una sfida complessa per lo psicoterapeuta, che si trova a dover sostituire il dialogo, di solito indiscusso sovrano del setting psicoterapeutico, con un’ampia serie di strumenti alternativi da individuare ad hoc sulla base delle esigenze dei suoi piccoli pazienti.
Si tratta insomma di indossare vesti professionali differenti, con il fine di raggiungere una maggiore sintonia con il bambino attraverso canali comunicativi complementari meno usuali.
Personalmente io ho acquisito i preziosi contenuti teorici che il Comitato scientifico di Aimuse mi ha trasferito attraverso la formazione e la supervisione, facendoli miei e declinandoli attraverso il mio stile relazionale.
Grazie all’esperienza di questi anni ho capito che, per essere di aiuto ai miei cuccioli silenziosi, dovevo far riemergere il fanciullino pascoliano che c’è in me, in modo da riuscire a rapportarmi con loro in un modo più paritetico, accorciando il più possibile le distanze tra di noi.
Ho osservato che apparire buffa e un pò goffa, è molto utile per ridurre l’ansia sociale, già a partire dal primo incontro. Le domande di rito scivolano in secondo piano, per evitare imbarazzo, aspettative, frustrazioni.
Mi ripeto fino a crederci che l’obiettivo non è subito la parola, ma una buona relazione disinvolta, serena, autentica tra di noi, da esportare successivamente fuori dallo studio del terapeuta.
Il setting diventa creativo e flessibile; si corre, si suona, si gioca a palla, a 1,2,3 stella, a nascondino, perchè il movimento e il divertimento favoriscono l’apertura.
Io stessa canto, ballo e abbandono ogni formalità.
In una piccola cucina presente all’interno del mio studio offro la merenda, una bibita, un tè, ricreando un momento che per questi bimbi talvolta si rivela ostico. Non chiedo se la vogliono, la offro senza domande, in modo naturale, quasi scontato.
Insieme prepariamo un caffè per mamma e papà, in sottofondo posso anche accendere una bella musica, ad esempio la sigla del cartone animato preferito…
Se il buio attenua le inibizioni, con le coperte e le poltrone costruiamo una tenda in cui giocare, oppure indoviniamo i versi degli animali posizionandoci separati e protetti dal paravento.
Una volta che i primi progressi si consolidano, si esportano i risultati andando insieme a fare la spesa al supermercato, dal panettiere, al bar oppure anche al parco giochi.
Un setting indubbiamente molto impegnativo, ma prezioso alleato per un percorso di apertura verso l’altro, mano nella mano con il terapeuta.
E alla fine, quando smettiamo di aspettarle, le paroline arrivano, generando un momento splendido e un’emozione intensa che il terapeuta, mi raccomando, conserva tutta per sè.
Benedetta Lombardi – Psicologa psicoterapeuta della rete Aimuse