E se le storie inventate prendessero vita? – di Emanuela Iacchia

E se le storie inventate prendessero vita? – di Emanuela Iacchia

Michael Gazzaniga, uno dei padri fondatori delle neuroscienze ci dice che la narrazione ci prepara alla vita reale, a far fronte agli eventi futuri perché li abbiamo già immaginati e vissuti nelle storie che abbiamo inventato o sentito.

Narrare non è solo raccontare, è parlare delle emozioni di chi scrive ma anche di chi legge, chi le ascolta sente in prima persona tali emozioni e le ricollega a ciò che ha già vissuto o a ciò che vorrebbe vivere. Con la narrazione si può dire quello che si pensa, insegnare quello che si è imparato e cambiare il modo di pensare e di vedere il mondo. La narrazione non è solo l’arte di inventare storie, è dar vita a mondi alternativi, in grado di farci meglio comprendere quello reale.

Se poi la storia è inventata da chi è in età evolutiva, la narrazione si arricchisce di riflessioni e consigli che possono essere stimolo al proprio cambiamento e a quello dei coetanei.  Qualsiasi posto può essere quello giusto per dar vita ad un racconto: un divano, in macchina quando si è in viaggio, mentre si sta giocando. All’inizio pare difficile partire, ma poi le parole escono da sole e ci si accorge che ciò che si è narrato prende vita e resta nell’anima. La storia che leggerete è di Giorgia, io ero accanto a lei mentre la scriveva.

In un paese vicino a Milano, c’era una bella bambina di nome Matilde, aveva gli occhi piccoli e scuri, aveva i capelli biondi e lisci lunghi fino alle spalle e li portava legati con un fermaglio rosa. Matilde faceva la prima elementare e sapeva disegnare molto bene. La sua passione era disegnare le farfalle, ne faceva di mille colori. Aveva una sorella più grande e con lei giocava tutti i pomeriggi con le bambole, le costruzioni e cantava felice con il karaoke.

Mentre in casa Matilde era una grande chiacchierona, fuori casa non riusciva a parlare perché la sua voce non aveva il coraggio di farlo. La bambina diceva ogni giorno alla sua voce di provare ad essere coraggiosa, ma lei non ne voleva proprio sapere. “ Ho paura di farmi sentire, mi vergogno”, pensava la voce e così fuori casa e a scuola, nessuno l’aveva mai sentita.

I compagni di classe cercavano di fare delle domande a Matilde, ma la sua voce invece di uscire si nascondeva. Qualche bambino invogliava la voce a parlare sussurrando, qualcun altro stava alla larga perché pensava che fosse Matilde a non voler parlare.

Con le maestre la bambina aveva provato a parlare a voce bassa ma non c’era mai riuscita, nemmeno con la maestra più simpatica, e questo la rendeva triste. Lei invogliava sempre la sua voce a parlare, ma non ci riusciva a convincerla, ogni giorno le diceva di uscire, ma la voce si fermava in gola e tremava.

Un giorno mentre era a scuola, all’intervallo, le si avvicinò una ragazzina di prima media di nome Giorgia che le raccontò della fatica che anche lei aveva fatto per parlare a scuola e in giro, e di come la sua voce aveva trovato poi il coraggio di uscire. Matilde l’ascoltò con grande attenzione.  Giorgia allora, vedendola interessata restò con lei a giocare e a divertirsi, diceva cose spiritose e la voce di Matilde che si era nascosta, cominciò ad uscire senza accorgersi, con delle risate e poi con le parole

Le due bambine diventarono molto amiche e ogni giorno all’intervallo cominciarono a ridere e a chiacchierare.  I compagni vedendole molto contente, si unirono a loro e in un attimo tutta la scuola comincio a divertirsi con loro. La voce di Matilde, che prima si nascondeva, non era più impaurita anzi era contenta di dire tante cose.

Le storie sono davvero uno strumento fantastico per sognare, per riflettere e per insegnare.

Emanuela Iacchia – psicologa e psicoterapeuta, direttore del Comitato scientifico Aimuse