Una preziosa testimonianza

Una preziosa testimonianza

Vi vorrei raccontare la mia storia. Vivo da qualche anno in provincia di Modena e sono un’insegnante di scuola primaria da 17 anni dopo un’esperienza di 5 anni nella scuola dell’infanzia.

Sono una ex bambina con Mutismo Selettivo, che negli anni ‘80 non era conosciuto né considerato da genitori e insegnanti (ancora oggi si fa fatica con insegnanti che troppo spesso lo scambiano per timidezza).

Ho avuto un’infanzia bellissima, con una famiglia amorevole piena di parenti, zii e cugini. Senza nessun tipo di trauma e/o cause che possano aver procurato o fatto nascere il seme del MS.

Voglio iniziare da un ricordo indelebile all’inizio della scuola dell’infanzia (avevo circa 3 anni). Ricordo perfettamente la mia maestra che dopo un miracoloso, breve, scambio di parole con una compagna che mi aveva fatto una domanda, mi disse: “Ah, quando vuoi parli, eh?”. Nella mia piccola testolina mi dissi: “E adesso ti faccio vedere io, con te non parlo mai più”, e così fu!

A differenza di molti bambini di oggi con MS, nonostante tutto, amavo molto andare a scuola. Alla scuola dell’infanzia non parlavo né con insegnanti né con i compagni, ma ricordo molto bene che passavo molto volentieri il tempo con quella che allora chiamavamo la bidella. A lei non importava se parlassi o meno, ma mi raccontava ogni giorno una storia, una fiaba, una favola. Non mi stancavo mai di ascoltarla. Una virtù preziosa che hanno questi bimbi è proprio l’educazione all’ascolto, spesso accompagnata da una capacità di osservazione molto sviluppata. Io ho ricordi molto nitidi e dettagliati sin dai miei 2 anni; da adulta ho scoperto che non è una cosa così comune e non so se è dipesa dalle capacità di ascolto e osservazione o se è una prerogativa del mio cervello. Ad ogni modo mi è sempre tornata utile con i miei alunni con MS, perché ho il ricordo preciso di ogni sensazione di disagio, ansia e quant’altro mi provocava il mio mutismo.

A cinque anni e mezzo inizio la scuola primaria che già so leggere e scrivere (avevo imparato un po’ guardando mio fratello maggiore fare i compiti e un po’ con quello che allora era il massimo della tecnologia: “Il grillo parlante”). Questa mia conoscenza, a differenza dei miei compagni, mi diede molta sicurezza, abbassando notevolmente il livello di ansia. La mia maestra è stata una delle prime persone (dopo la gentile bidella) ad aiutarmi. Lei era avanti. Quello che abbiamo fatto con lei non era il leggere e far di conto di quegli anni. Lei con i suoi metodi ha anticipato quelli che oggi siamo bravi a chiamare con tanti nomi pomposi e anglofoni, metodi che applico tuttora nelle mie classi. Lei non ha mai criticato il mio silenzio, lei ha sfruttato le mie potenzialità. Iniziai a parlare con alcune compagne femmine grazie alla mia maestra che decise di mettere i banchi a isola (pratica che inizia a prendere piede nelle scuole italiane negli anni 2000 e che oggi chiamiamo Cooperative learning). Quando finivo per prima il mio compito, mi pregava di aiutarla con i bambini più lenti e con grosse difficoltà (mi faceva fare da tutor), così iniziai a parlare anche con i compagni maschi.

Con lei ancora no; ad ogni interrogazione lei mi faceva fare “la relazione scritta e il questionario”. E io scrivevo e rispondevo ad ogni argomento da verificare. Cosa che neanche oggi (dopo quasi 40 anni) fanno le insegnanti con i bambini con MS. L’unica cosa che riuscivo a fare era la lettura ad alta voce, forte della mia capacità di lettura, ma attendevo il mio turno sempre con una fortissima tachicardia; lei tuttavia sapeva e mi faceva leggere poche righe.

La mia cara maestra l’ho detto e lo ripeto: era avanti. Sono andata a trovarla nel 2006 e le ho detto: “Insegno da diversi anni grazie a Voi, mi avete insegnato la scuola e il mestiere. Io in classe uso i Vostri insegnamenti, i Vostri esempi, i Vostri esperimenti di scienze e persino i Vostri modi di dire. Grazie”. Lei mi guarda con gli occhi lucidi e mi risponde: “Finalmente sento la tua voce”.

Finito l’idillio elementare, inizio le scuole medie. Avevo un bagaglio tale che ho campato di rendita. Avevo 10 e 9 agli scritti e “impreparata, non classificata” agli orali. All’inizio i prof erano convinti che fossi una gran copiona, senza però trovare nessun complice al livello dei miei temi, esercizi e quant’altro. Si arresero classificandomi come un grande mistero. Non ho mai avuto problemi, invece, nelle interrogazioni di inglese. Sicura che i miei compagni non mi comprendessero, parlavo serenamente con la Prof di turno (purtroppo una diversa ogni anno). Oggi da insegnante mi chiedo: possibile che in tre anni, all’interno di un consiglio di classe, non sono mai riusciti a trovare una strategia adatta a me? Una strategia però, nell’ora di educazione fisica, la trovai io dopo un anno di difficoltà e smarrimento dove non ero capace in niente: il secondo anno mi feci fare, da mia madre, un esonero di un anno intero dove osservai attentamente tutti i movimenti dei miei compagni e durante il quale il prof mi mise a fare l’arbitro in tutte le partite di pallavolo, basket e calcio. A casa, con le compagne più care e con mio fratello, mi specializzai nel salto alla corda. In terza media ero pronta per affrontare questa ostica materia, di poca importanza per molti, ma che mi causava il disagio più grande. Vinsi il 7° posto nella scuola con il salto alla corda e mi appassionai al basket. Non diventai una frequentatrice di palestre ma quanto meno superai l’anno in serenità.

Gli anni scolastici più brutti furono quelli delle scuole superiori. Istituto magistrale in una classe composta interamente da ragazze per superare gli anni difficili dell’adolescenza. I Prof ancora più distaccati e ottusi di quelli delle medie non davano scampo, per cui mi sforzai di affrontare le prime interrogazioni. Pur conoscendo bene l’argomento studiato, parlavo con frasi brevi e a voce molto bassa, sperando che il Prof mi facesse più domande possibili evitando di dirmi: “Parlami di un argomento a piacere”, frase amata dal 99% degli studenti ma non da me. Per cui ad ogni colloquio con mia madre la frase di routine era: “Timida e riservata, studia da 9 e rende da 6”. Peggiorai anche in matematica perché avevo abbandonato occhiali e lenti a contatto nonostante la mia forte miopia. Per cui non riuscivo né a leggere alla lavagna quando i Prof spiegavano, né a dir loro che non vedevo. Nei 4 anni del corso di studi ci sono stati più bassi che alti; ricordo con terrore assoluto gli orali della maturità, che sono stati decisivi per la scelta di non frequentare l’università nonostante le mie ottime conoscenze e competenze acquisite grazie alla mia curiosità, all’amore per la lettura, l’ascolto e l’osservazione che mi hanno sempre caratterizzata. In tutta la mia infanzia e adolescenza mia madre, non per voler suo, non migliorava certo le cose. Giustamente, per educarmi, mi chiedeva continuamente di salutare quel parente o quell’amica di turno; se veniva qualcuno a cena ripeteva sempre che quando eravamo in famiglia parlavo pure troppo e in presenza di estranei facevo la muta. Era un modo per giustificare in buona fede il mio comportamento.

Potrei elencare migliaia di disagi e rispettivi rimorsi:

– a 8 anni alla prima confessione non spiccicai parola e tuttora, dopo più di 30 anni, ancora mi confesso con lo stesso sacerdote che parla e io ascolto annuendo;

– pur desiderandolo, non sono mai salita su una giostra al luna park;

– non riuscendo a chiedere i prezzi e taglie dei capi di abbigliamento, rinunciavo a fare shopping;

– mi sono sempre rifiutata di fare recite, balletti, letture in chiesa ecc.

– andavo a comprare il pane e il latte per mia mamma, ma andavo sempre con il fogliettino scritto e i soldi contati, sperando che il padrone della bottega/alimentari (quelle di una volta) non mi chiedesse niente;

– ho studiato per 10 anni pianoforte, ma prima di ogni saggio davo di stomaco, stando molto male. Anche questa passione abbandonata perché non riuscivo a fare esami e suonare in pubblico. Anche in questo campo insegnanti disastrose.

Così come amavo frequentare la scuola, amavo sin da bambina frequentare la parrocchia, dove ho incontrato i miei amici che frequento ancora. Nel 1996, all’età di 17 anni, qualcosa cambiò. Arrivò un giovane sacerdote di origini abruzzesi che aveva fatto un periodo di missione in Siberia. Venne in Calabria per curarsi una brutta sinusite e infiammazione cervicale causata dalle rigide temperature siberiane. Lui, come la mia maestra, non guardava la mia bocca aspettando di sentirmi parlare ma mi leggeva negli occhi. Una vocazione? Un talento? Empatia? Non lo so cosa fosse, ma con lui iniziai a parlare. Rimase con noi solo sei mesi, ma cambiò la storia della mia vita. Iniziai con rimettermi le lenti, mi lasciai coinvolgere in una rappresentazione in parrocchia anche se avevo una sola battuta, mi dedicai alle scenografie, abiti e quant’altro dietro le quinte, feci l’esperienza del passalibro (iniziativa che ci permetteva di raccogliere libri usati e rivenderli, quindi avevo a che fare con pubblico estraneo); andai persino un fine settimana in montagna dividendo la stanza d’albergo con altre ragazze, ecc.

In quell’anno mi feci un elenco di cose che mai avrei fatto e… le feci.

Cose banali e quotidiane che tutte le persone fanno senza pensarci. Tutto molto gradualmente. Ancora oggi, quando alcuni miei amici devono ricordare quegli anni, si esprimono dicendo: “Quando ancora Fausta non parlava”!

A 18 anni iniziai l’anno integrativo (che faceva parte del vecchio corso di studi dell’istituto magistrale), fortunatamente cambiarono tutti i Prof. Non mi conoscevano, non avevano preconcetti. Potevo ricominciare da capo. Bene, sostenni delle interrogazioni da 10 e lode, lasciando basiti quei Prof che mi avevano visto uscire dalla maturità con 39/60.

L’anno dopo, incredibilmente, iniziai a lavorare in una scuola dell’infanzia paritaria con i bambini: trovai il mio mondo. Superai il concorso ministeriale e mi inserii nelle graduatorie della scuola primaria di Roma. Da bambina era la mia passione: la città eterna, la culla della Storia. Così a 23 anni partii per la grande, immensa, Capitale. Partii, di nuovo con la consapevolezza che nessuno mi conosceva, nessuno aveva il preconcetto su di me, e mi creai una nuova vita. Fatta di supplenze brevi cambiando classe, scuola e colleghi ogni giorno, affitti e bollette da pagare, coinquiline con cui convivere, ecc. Forse una terapia d’urto? Ma la voglia di iniziare una vita normale era troppo grande. E qui ho affrontato mostri, giganti, montagne per una ex bambina con MS, ma ho passato gli 11 anni più belli della mia vita. Forse proprio perché era tutto troppo grande, e perché la voglia di vivere e di cambiare non basta da sola, dopo qualche anno, precisamente nel 2010, in un periodo apparentemente sereno e stabile (iniziavo anche ad avere delle supplenze annuali), iniziai ad avere problemi di tachicardia, forti mal di pancia e dolori al petto. Dopo una serie di analisi tutte negative, capisco che sono dei “semplici” ma poco gestibili attacchi di ansia. Così un’amica mi consigliò una psicoterapeuta. Chiesi a lei di prendere un appuntamento al posto mio (questa telefonata non riuscii proprio a farla). Andai con mille dubbi, non avevo molta stima di questa figura. Niente di più errato! Facemmo la prima seduta, durante la quale restai con il cuore a mille e il viso rosso in fiamme, ma lei mi piaceva: aveva la voce tranquilla, belle mani, due occhi dolci e professionali allo stesso tempo. Alla seconda seduta già avevo rivalutato questa difficile professione. Mi fidavo completamente di lei. Ero totalmente a mio agio. Abbiamo lavorato insieme per un anno e mezzo. Uscivo dal suo studio leggera come l’aria. Dopo aver fatto questo percorso mi sono pentita di non averlo fatto prima e soprattutto lo consiglio a tutte le persone a cui tengo. E’ un percorso per affrontare meglio questa vita degli ultimi venti anni, che ritengo essere anni più caotici e fragili. E’ un percorso per conoscersi meglio e per rapportarsi meglio con il prossimo senza incorrere in delusioni facili e frequenti (come troppo si legge oggi sui social network). Ho imparato che cosa è l’assertività e come meglio ci fa vivere in mezzo alla gente. Quindi non un percorso per “malati”. Sono passati 10 anni, non ho più attacchi di ansia perché ho imparato a riconoscere le prime avvisaglie e ad affrontarli. Con la mia psicoterapeuta ogni tanto ci sentiamo perché è rimasto un bel rapporto di stima e di affetto. Mi ribadisce continuamente di contattarla tempestivamente qualora avessi bisogno di un consiglio, di un aiuto o altro. Ho consigliato lei anche a genitori di alunni con varie problematiche, affidandoli alla sua professionalità. Non bisogna avere timore o fare resistenza di fronte al consiglio di contattare uno specialista. L’unica cosa difficile è trovare la persona giusta! L’ansia che è la radice del MS è una “brutta bestia”. Sono un soggetto ansioso e resterò tale per tutta la vita purtroppo, ma se incanalata bene diventa anche una nostra alleata che ci insegna ad arrivare puntuale, ad essere precisi nel nostro lavoro, a cercare di fare sempre del nostro meglio.

Poi nel 2014 mi sono trasferita in provincia di Modena dove vivo con mio marito e mia figlia e, dopo 18 anni di precariato, finalmente sono di ruolo.

In questi anni da insegnante ho scoperto il Mutismo Selettivo e mi ci sono riconosciuta in pieno e finalmente ho potuto dare un nome a quello che tutti descrivevano come “un’eccessiva timidezza e testardaggine”. Quando incontro una bimba con MS, so bene cosa c’è nel suo cuore e nella sua testa, per cui le chiedo solo quello che vuole sentirsi chiedere, cerco di capire quali sono le sue passioni e fare leva su quelle per guadagnarmi la sua fiducia. Sa che non la metterò mai a disagio. Cosa difficile è far capire ai colleghi a fare lo stesso senza che passi per un “trattamento di favore e/o preferenza”. Io so che questi bimbi preferiscono non mettersi in evidenza, partecipare ma da dietro le quinte, essere coinvolti ma senza essere troppo sotto la luce dei riflettori. Da maestra, cerco di non farli sentire a disagio ma, nello stesso tempo, di non far vivere loro troppi rimpianti. Cerco di capire quando hanno bisogno di andare al bagno e con un cenno d’intesa mandarli senza farmelo chiedere, come faceva con me la mia maestra.

Sbaglierò anche io, perché contemporaneamente ho altri 20 alunni con esigenze e difficoltà contrarie e diverse. Per genitori, educatori e insegnanti si dice: “come fai, sbagli”! Niente di più vero, ma cerchiamo di limitare i danni. Ora ho 40 anni, tantissime esperienze alle spalle, ma alcuni strascichi del MS me li porto dietro ancora. Tendo a far fare le telefonate burocratiche a mio marito; se vado a fare shopping con qualcuno cedo sempre volentieri la parola a chi è con me, faccio ancora fatica a chiedere informazioni, ma non mi privo più per questo motivo di vivere qualcosa. Se mi trovo sola e nessuno a cui cedere l’incarico di turno, tiro un grosso respiro e faccio da me.

Spero con questa mia testimonianza di poter essere di aiuto a genitori, insegnanti e persone che stanno intorno a questi bimbi. La cosa fondamentale è la tempestività. Lavorando bene sin dagli anni della scuola dell’infanzia, si riesce ad affrontare il percorso sociale e scolastico con maggiore agio e serenità. Farlo da soli non è semplice, io ho faticato molto e ancora molto c’è da fare! Scrivere e rivivere tutto questo non è stato semplice, però ho l’impressione di aver salito un altro gradino della scala della mia vita.

FAUSTA T.