Mutismo selettivo e diagnosi differenziale – di Emanuela Iacchia
È importante distinguere le situazioni nelle quali i bambini o i ragazzi non parlano a causa del mutismo selettivo da quelle in cui il motivo che porta al silenzio è di diversa natura. Ciò è fondamentale non solo per non dare etichette diagnostiche errate, ma per poter attuare strategie di intervento mirate per quel determinato disturbo, dato che esse potrebbero essere non altrettanto efficaci se la diagnosi fosse sbagliata.
Pensare al mutismo selettivo come situazionale è un aiuto nella diagnosi differenziale.
Ad esempio, riguardo ai disturbi dello spettro autistico, l’isolamento e lo sguardo assente di chi soffre di mutismo selettivo potrebbero ricordare il ritiro autistico; ma al di là delle cause diverse tra mutismo selettivo – che è un disturbo d’ansia – e autismo, che invece è un disturbo del neuro-sviluppo, la differenza sta nel fatto che nel mutismo selettivo il comportamento silenzioso è situazionale. I bambini o i ragazzi all’interno dello spettro autistico avranno sempre un comportamento isolato con abilità linguiste limitate, indipendentemente dalla situazione, cioè in ogni ambiente. Chi invece soffre di mutismo selettivo possiede normali capacità linguistiche, che però esterna solo nelle situazioni in cui si sente a proprio agio. Avrà un comportamento verbale e sociale appropriato come qualsiasi altra persona quando si sentirà in una situazione famigliare e per lui non paurosa.
Anche i disturbi del linguaggio come la disprassia verbale evolutiva, le balbuzie o il disturbo fono-articolatorio possono essere confusi con il mutismo selettivo. Ma, mentre la disprassia verbale è un disordine congenito che consiste nella difficoltà a programmare i movimenti necessari alla produzione dei fonemi e a ordinarli in sequenza per formare sillabe, parole, frasi, ed è presente in ogni contesto relazione in cui il bambino si trova, ciò non vale per il mutismo selettivo, che è situazionale. Oppure, consideriamo i bambini balbuzienti o dislalici: per loro il silenzio potrebbe essere un modo per non far notare agli altri il loro problema, al fine di evitare eventuali derisioni; se le loro difficoltà comunicative sparissero, svanirebbero anche le condotte mutaciche. Non dimentichiamo inoltre che c’è, ovviamente, anche una percentuale notevole di bambini che presenta sia problematiche linguistiche, sia elevati livelli di ansia, che interferiscono tra di loro. Risulta pertanto evidente come la questione sia complessa.
Appurato che il mutismo selettivo non scaturisce da deficit cognitivi o linguistici, c’è comunque la possibilità che, a causa della prolungata sintomatologia (nei casi in cui persista in diversi ambiti, per tutta l’età prescolare, scolare e oltre), si possa poi effettivamente riscontrare un danno nelle abilità comunicative e un impoverimento cognitivo graduale. Tali conseguenze possono influenzare le capacità di adattamento di chi ne soffre, nonché le sue performance scolastiche e successivamente lavorative (Steinhausen e Juzi 1996; Standart e Le Counter 2003;McInnes et al. 2004). Il silenzio, che viene interpretato dai genitori, insegnanti o professionisti come semplice timidezza, potrebbe ritardare un trattamento adeguato. Nel 2006, Kristensen e Oerbeck hanno infatti osservato in alcuni ragazzi con questo disturbo delle difficoltà mnestiche, in particolare una riduzione della memoria verbale, mentre la memoria visuo-spaziale non risultava essere compromessa. Risultato che richiederebbe ulteriori specificazioni perché spesso i ragazzi riportavano anche una labilità emotiva maggiore che alterava di fatto le prestazioni ai test somministrati. Molto deve essere ancora studiato, per essere sempre più vicini ed attenti a chi soffre di mutismo selettivo, o meglio di mutismo situazionale. Una diagnosi accurata e precoce è indispensabile per poter affrontare il disturbo attraverso una terapia multimodale o meglio multi-situazionale.
Emanuela Iacchia – psicologa psicoterapeuta, direttore Comitato Scientifico Aimuse.