Una mamma racconta

Una mamma racconta

G. è sempre stata una bambina molto riservata. Non le è mai piaciuto essere al centro dell’attenzione; al parco, al supermercato non dava confidenza alle persone che la salutavano o le domandavano “Come ti chiami?”.  Lei non rispondeva mai. Abbiamo sempre attribuito questi comportamenti alla timidezza, pensando che la cosa sarebbe si sarebbe risolta da sola.

Fin dal suo secondo compleanno, al momento della torta non ha mai voluto applausi, canzoncine, fotografie o complimenti. Quando accadeva che qualcuno accennasse un applauso, lei scoppiava a piangere; per noi era una reazione inspiegabile, ma pensavamo che sarebbe passata con il tempo.

Invece, notai che crescendo G. si tratteneva, non era spontanea nel dire o fare le cose; era come se filtrasse le frasi da dire in base alla reazione che avrebbero potuto provocare negli altri – una risata,  un commento…

Arrivò il tempo della scuola dell’infanzia: sapevamo che l’inserimento non sarebbe stato semplice. G. è stata sempre molto attaccata a me, ma iniziò, più o meno volentieri, a frequentare la scuola.

Da principio non pensavo che a scuola non riuscisse a parlare. Sapevo che non era tra le bambine più loquaci, ma non credevo che fosse completamente silenziosa. Appena tornata a casa, mi faceva il resoconto dettagliato di quanto era successo durante la mattina, dall’abbigliamento della maestra alle attività svolte. Dopo qualche mese, però, mi accorsi che quando la andavo a prendere, fino a quando non eravamo in macchina – e quindi lontano dalla scuola –  evitava di rispondere alle mie domande. A una riunione chiesi alle maestre come era il comportamento di G., e mi confermarono quanto sospettavo: G. trascorreva tutto il tempo senza dire una parola. Sarà la timidezza – ci dicemmo – crescendo passerà…

Arrivammo così al secondo anno di scuola dell’infanzia; durante l’estate cercammo di convincerla a parlare a scuola, promettendole regali. Tutti i nostri tentativi fallirono: G. non riusciva a parlare. Non che non lo volesse, ma questo io non lo avevo ancora capito.

Poco prima di Natale, una delle insegnanti mi disse che si era documentata sul comportamento di G. e che poteva trattarsi di mutismo selettivo. Mi consigliò l’acquisto del libro “Comprendere il mutismo selettivo” e  mi suggerì di consultarmi con qualcuno che ci potesse aiutare. Completamente ignari di cosa fosse il MS, io e mio marito facemmo qualche ricerca su internet, trovando riscontro nel comportamento di G. Chiamai una conoscente, psicologa, spiegandole la situazione ma lei, sicuramente in buona fede, mi disse che la bambina era ancora piccola, di darle tempo.

Scegliemmo di aspettare. Io però guardavo G. in maniera diversa, la tenevo d’occhio ancora di più, e mi rendevo conto che non poteva trattarsi di timidezza, c’era qualcos’altro… Se incontravamo un compagno al parco o comunque al di fuori della scuola, diventava silenziosa anche con noi. Non avendo capito fino in fondo che G. non riusciva a parlare, spesso la forzavo, ma lei non ce la faceva proprio.

Si concluse così un altro anno di scuola dell’infanzia. Durante l’estate, altra lunga preparazione per convincerla a parlare.

L’inizio del nuovo anno scolastico non portò grandi risvolti; anzi, G. soffriva per la sua condizione: non mangiava, a casa mi raccontava piangendo che avrebbe voluto parlare ma non ce la faceva. Allora, supportati dalle insegnanti, decidemmo di iniziare un percorso di psicoterapia.

Il nostro pediatra ci indirizzò a una dottoressa della nostra zona, e iniziammo le sedute settimanali, in cui G. raccontava alla dottoressa – con cui ha sempre parlato – le sue avventure scolastiche, senza specificare che a scuola non parlava.

Intanto io acquistai il libro di Elisa Shipon-Blum e mi si aprì un mondo!

Decidemmo di mettere in atto quanto suggeriva il libro: stare con G. a scuola in orario extra-scolastico, cercare di coinvolgere piano piano prima i compagni, poi le insegnanti. Iniziammo così un percorso fatto di giochi, inizialmente non verbali e poi verbali, utilizzando maschere per coprire la bocca e tante altre strategie, finché G. riuscì a parlare a scuola, in orario extra-scolastico, con la maggior parte dei suoi compagni, e all’orecchio delle amiche in presenza delle maestre. Inoltre, G. parlava con i suoi compagni al parco. Oltre alla felicità di questi piccoli progressi, una delle cose più importanti che ci ha portato questo percorso è la consapevolezza di ciò che provava lei: finalmente G. si sentiva capita!

La dottoressa iniziò un lavoro proficuo con G., ma a maggio decise di terminare la terapia, perché secondo lei G. era pronta per iniziare l’avventura della scuola primaria.

Durante l’estate cercammo di preparare G. all’inizio della scuola; le dicevamo che nessuno sapeva che lei non parlava, quindi tutto sarebbe stato più facile. Provavamo a convincerla, e a convincerci, ma senza risultati. Il primo giorno di scuola G. non riuscì a dire il suo nome, e così anche il secondo e quelli successivi.

Arrivò lo sconforto, perché non sapevo come aiutarla! Ricontattai la dottoressa, lei mi disse che le insegnanti avrebbero dovuto forzarla, che G. era pronta per parlare. Fissammo un appuntamento, ma io non ero convinta che quella fosse la strada giusta.

Io e mio marito cominciammo a cercare su internet contatti di esperti in MS, poi mi ricordai che una delle maestre della scuola dell’infanzia mi aveva parlato dell’associazione Aimuse!

Contattammo il referente regionale Aimuse, che ci indicò alcuni specialisti esperti in MS della nostra zona. Prendemmo subito un appuntamento con una psicoterapeuta.

Per tutto il periodo della scuola primaria, G. non è mai riuscita a parlare in classe, ma grazie al percorso intrapreso ha acquisito una sicurezza che l’ha vista “spiccare il volo” in tanti contesti sociali: festeggiare il compleanno insieme ad amici e parenti con fotografie, canzoncine ed applausi, esprimersi senza timore di essere presa in giro, parlare con le amiche nel bagno della scuola, recitare nello spettacolo di Natale dell’oratorio, leggere in chiesa nel giorno della Prima Comunione.

L’ultimo anno di scuola primaria fu davvero difficile; G. sentiva le sue difficoltà e avvertiva un clima non troppo favorevole con le insegnanti. Continuava il lavoro con la psicoterapeuta, ma eravamo tutti molto scoraggiati. II pensiero che alle medie si sarebbe portata dietro questo fardello ci preoccupava parecchio.

Oggi G. ha quasi 13 anni, frequenta la seconda media e, dal primo giorno di scuola media, è riuscita a parlare! Durante il periodo estivo precedente all’inizio della scuola ero molto sfiduciata, non perché non credessi nelle possibilità di mia figlia, ma proprio perché mi ero resa conto della sua reale difficoltà di parlare a scuola. G. invece, con la fine della scuola primaria, mi ripeteva continuamente “Alle medie parlerò”, ed è stato veramente così!

In questi anni abbiamo capito che il mutismo selettivo non riguarda solo il non parlare, anche se il silenzio ne è l’aspetto più evidente. G. dentro di sé racchiudeva tante piccole paure che la limitavano nel vivere la quotidianità. Magari non si dava importanza ad altri aspetti e ci si concentrava sul farla parlare a scuola, invece per lei è stato necessario imparare a gestire le paure che si portava dentro.

Ci sono tanti aspetti da tenere in considerazione: per prima cosa, per noi genitori è necessario capire il MS, e capire nostro figlio. Sicuramente all’inizio non è semplice, e lo sconforto può arrivare. Credo che il prezioso lavoro che in questi anni ha fatto Aimuse aiuti noi genitori a sentirci meno soli.

Un altro aspetto importante è quello di affidarsi a mani esperte e creare una collaborazione stretta con la scuola. È importantissimo il lavoro che si può fare a scuola, anche se non è sempre facile e scontato!

Questa è la nostra esperienza: una storia fatta a volte di errori, a volte di mosse azzeccate; di gioia per i successi raggiunti e sconforto per quelli mancati, con un lieto fine e con un bagaglio arricchito di sensibilità, che ci aiuta a guardare ed ascoltare ciò che ci circonda in maniera diversa.

Franca T.