Storie a lieto fine – di Emanuela Iacchia

Storie a lieto fine – di Emanuela Iacchia

Buon anno e buon inizio! Dopo questi ultimi anni difficili ci meritiamo tutti un 2022 migliore. Assorta in questi pensieri e queste speranze, mi son trovata a cercare, a leggere e a condividere con voi, alcune testimonianze di giovani adulti che hanno sofferto di mutismo selettivo, per capire quale sia stata la chiave di volta che ha permesso la loro uscita dal silenzio.
-Anna aveva 17 anni, si sedette sul letto con il suo diario e iniziò a scrivere ” Mi sento come intrappolata in una scatola congelata”. Alle medie parlava con un paio di amici, ma era regredita al liceo perché alcuni compagni che prima la coinvolgevano, poi non avendo risposte, la evitavano”. Anna divenne nota come “la ragazza che non parla” e all’ora di pranzo mangiava fuori da sola. “Giorno dopo giorno”, scrisse nel suo diario, ” la noia, la solitudine del sedersi fuori a pranzare da sola, era troppo e iniziarono gli attacchi di panico e la depressione”. Il muro che la separava dal mondo parlante era troppo alto e troppo spesso. Quando Anna cercava di parlare, il pensiero veniva fermato da una profonda vergogna. “Non piaccio a nessuno” pensava, “tutti pensano che io sia strana” . Tutto il suo corpo entrava allora in modalità di spegnimento. Anche camminare per strada le faceva venire la nausea. Lo stesso valeva per fare la spesa in un negozio: “Ho sempre avuto paura che il commesso venisse a chiedermi se avevo bisogno di aiuto “.
-Dean, un altro giovane che aveva sofferto di mutismo selettivo, afferma :“Prima o poi, il tuo silenzio sarà frainteso, le persone pensano che tu sia semplicemente e scandalosamente scortese o con problemi intellettivi”
-Declan, un diciottenne irlandese, diplomato geometra, non poteva parlare con nessuno che lo aveva conosciuto quando era un bambino silenzioso:”Mi sentivo arrabbiato, umiliato e debole quando non riuscivo a parlare, nessuno mi aiutava”.
-Gabriella si era svegliata un giorno quando aveva nove anni con un raffreddore e ha scoperto che la sua voce era sparita, lei parlava già molto poco fuori casa. “Quando la mia voce è tornata”, ha raccontato, “non l’ho più usata nemmeno in famiglia”.
-Becky, 29 anni, dello Yorkshire, poteva parlare con la maggior parte delle persone, ma riusciva a pronunciare solo una o due parole. “Dopo di che, la mia mente si svuotava e qualcuno doveva intervenire e salvarmi.”
Ciò che accomuna queste storie non è solo la sofferenza iniziale, ma l’esito positivo, l’apertura alla comunicazione verbale in ogni situazione. Ma se il mutismo diventa un’abitudine o parte di un repertorio comportamentale e personale, è difficile cambiare. Se chi soffre di mutismo selettivo ha accanto persone care che coprono la mancanza di parole con i propri discorsi, sarà meno probabile sentirsi motivati ​​ad usare il verbale e a sfidare l’ansia.
Dal punto di vista scientifico ci sono prove che suggeriscono che l’amigdala, quando si soffre di mutismo selettivo, è iper-reattiva, afferma il dott. Aimee Kotrba, psicologo, che la descrive come “il cane da guardia del nostro cervello”, cioè un insieme di neuroni a forma di mandorla, nel lobo temporale mediale del cervello, che attiva la nostra risposta di paura. Il suo compito è cercare il pericolo e difenderci, ma nel mutismo selettivo è così innescata da portare al blocco o alla fuga. Questo spiega i sintomi fisici di congelamento, battito cardiaco accelerato, tensione muscolare presenti nella maggior parte delle situazioni. E’ necessario allora fare una ristrutturazione cognitiva e una correzione emotiva efficace attraverso un intervento multisituazionale con la collaborazione tra tutti gli attori della terapia. La consapevolezza raggiunta delle proprie difficoltà, unita alla motivazione o al desiderio di vincere l’ansia, sono la base del cambiamento. La costanza nello sperimentarsi attraverso strategie mirate è il proseguo della terapia. Buona vita a tutti.

Emanuela Iacchia – psicologa e psicoterapeuta, direttore del Comitato scientifico Aimuse