L’empatia, i neuroni specchio e le emozioni
“La risata è contagiosa” recita un detto popolare.
Si dice anche che circondarsi di atmosfera positiva alla lunga faccia bene e riesca a tranquillizzare chi di solito tranquillo non è. Allo stesso modo, quando si avverte un clima di tensione, di riflesso possiamo subirne le ripercussioni. Sono sensazioni quotidiane comuni che tutti noi, senza rendercene conto, proviamo.
Ma come spiegare tutto ciò? La risposta è piuttosto complessa.
“L’uomo è un animale sociale”, ricordo questa frase di Aristotele scritta a caratteri cubitali nel libro di diritto del primo anno delle superiori. Allora non riuscivo ancora bene a comprendere questo concetto. Ai tempi infatti ero ancora chiusa nel mutismo tanto da considerare quasi normale vivere profondamente nella mia interiorità.
In realtà, non potevo neanche immaginare che ogni gesto, ogni pensiero, ogni sentimento inespresso, ogni lacrima portata a casa erano segni primitivi e punti di contatto col mondo esterno. Ogni essere umano scalpita interiormente per riuscire a comunicare e farsi comprendere, sia con la voce sia con qualsiasi altro metodo di scambio.
C’è un sottile collegamento che ci lega all’universo tutto e ai nostri simili, qualcosa di antico, ancestrale, di cui non abbiamo coscienza ma lo avvertiamo in diversi modi. Esiste un termine per provare a spiegare questo universo di sensazioni: empatia.
L’empatia è un’attitudine della psiche a percepire le emozioni delle persone con cui entriamo in contatto, un’ attitudine innata, ce l’ abbiamo lì da sempre, un dono.
Empatia significa “sentire dentro”, è l’emozione di quando per esempio ci troviamo di fronte a un’opera d’arte, quel brivido che proviamo, che ci fa dimenticare il tempo e lo spazio e ci mette in contatto con l’artista che l’ha creata.
Ma se da una parte l’empatia è un dono che ci avvicina al mondo circostante e ce lo fa interiorizzare con tutti i suoi sentimenti, dall’altra può diventare un’arma a doppio taglio. Abbiamo il potere di entrare in contatto con l’altro, ma succede che a volte il processo di identificazione causi inibizioni e blocchi.
Un bambino empatico, per esempio, può non riconoscersi nei modelli comportamentali appresi dagli adulti e “ribellarsi”.
Questo sconvolgimento dovuto al fatto di non riuscire ad adeguarsi a modelli di condotta imposti, può impedire l’adattamento e generare ansia, sentimento indispensabile per la sopravvivenza.
Jung ipotizzò la presenza di un inconscio collettivo fatto di simboli primordiali, provenienti da molto lontano nel tempo, denominati archetipi. Tale inconscio si accumula in seguito alle ripetute esperienze di innumerevoli generazioni.
Per sviluppare una propria autonomia rispetto a questa eredità culturale l’uomo deve affrontare un percorso a volte doloroso, deve riconoscere i modelli collettivi ereditati che impediscono la sua realizzazione individuale e saperci “giocare”.
L’empatia è potenzialmente possibile perchè in ognuno di noi esiste un inconscio collettivo, una struttura comune popolata da archetipi.
Nei primi decenni del 900, Edith Stein, un’allieva del filosofo e matematico Edmund Husserl, affrontò con immediatezza l’argomento empatia, lasciando spunti interessanti per la neuroscienza attuale.
Scriveva Edith Stein:
“l’empatia, come fondamento dell’esperienza intersoggettiva, diviene la condizione di possibilità di una conoscenza del mondo esterno esistente.”
Entriamo in contatto con l’altro e ritorniamo a noi stessi arricchiti dall’esperienza altrui e questo sentire avviene su vari livelli, molto importante è il ruolo della corporeità, la sola presenza fisica di un’altra persona e qualsiasi gesto percepito scatena emozioni.
Qualunque situazione è terreno fertile per avvertire empatia, quelle che riguardano le arti soprattutto. Si pensi per esempio a quanta carica emotiva può darci il nostro cantante o gruppo preferito, scatta automatico, molto spesso, il bisogno di condivisione: le parole di una certa canzone, toccano corde nascoste in noi ed è soprendente vedere come emozioni di egual potenza possiamo ritrovarle nell’ amico che sta ascoltando lo stesso pezzo. Il sentire non è uguale da entrambe le parti, anzi, può essere diversissimo.
Quando diciamo “ti capisco”, in realtà non stiamo dicendo che abbiamo capito perfettamente come si sente l’ altro, stiamo facendo una similitudine col nostro vissuto e ci abbiamo trovato “qualcosa”, questo qualcosa poi si astrae dalle parti e ha vita propria, diventa prezioso e ci sostiene.
Mi sento di voler provare a fare un esempio pratico che riguarda la mia esperienza col mutismo selettivo. Posso affermare con certezza che l’empatia ha svolto un ruolo fondamentale nel superamento del mio blocco: non è un caso se ho parlato per prima con le persone con cui avevo stabilito, a pelle, un rapporto empatico, grazie ad esse poi è stato tutto molto più semplice.
Credo che siano sensazioni piuttosto indefinibili e difficili da interpretare, ho sempre avvertito con largo anticipo le intenzioni degli altri nei miei confronti, se qualcuno veniva da me per spronarmi a parlare era impossibile aprire bocca, se qualcun altro si avvicinava con un cd da ascoltare insieme invece, può essere che usciva fuori il fruscio di una risata impossibile da trattenere.
Ricordo che ero al mare con i miei genitori, avevo circa otto anni. Erano con noi una coppia di amici dei miei che frequentavano spesso casa nostra, ma con i quali non avevo mai proferito parola.
Ricordo una giornata in spiaggia, divertentissima, mamma e papà ridevano e scherzavano come bambini. L’ atmosfera era di allegria condivisa e nessuno pensava al mio “problema” e io ero a mio agio. In me scattò una sensazione di benessere compartecipativo e alla fine di quella giornata ero lì che parlavo come se niente fosse con quegli estranei.
Ecco perché esperienze come quelle della Vacanzina Terapeutica (ndr organizzata da Medici in Famiglia insieme ad A.I.Mu.Se,) le considero utilissime.
Il gioco, le attività di gruppo, le risate collettive, stimolano la naturale reazione a interagire, non so come si attivi tecnicamente ma si sente.
Ho sempre pensato, da quando ho cominciato a prenderne coscienza, che per uscire dal mutismo selettivo occorre uscire “fuori”. Scendere in cortile, andare a una festa, iscriversi a un corso di musica, andare al supermercato, viaggiare, anche per brevissimi tratti. Il ruolo dei genitori in questo caso è quello di aiutare il bambino a capire che ha tutti i mezzi necessari ad uscire nel mondo con le proprie forze.
Ovviamente non è che si può socializzare o empatizzare con tutti, ma l’importante è creare occasioni di scambio con gli altri, fare in modo che la personalità di ognuno, a contatto col gruppo, venga stimolata ed alimentata. Perchè poi la parola viene naturale, credetemi, la parola esce fuori dal bisogno di interagire, di entrare in contatto con qualcuno.
La parola non è tutto, io comunicavo per anni attraverso la scrittura e la figurazione, comunicavo in questo modo forse meglio di quanto faccio con la parola, ma poi ho pensato: “perchè no?”.
Per spiegare la corrispondenza biologica del processo dell’ empatia, da qualche decennio si parla di neuroni specchio.
Scoperti alla fine del secolo scorso da un gruppo di ricercatori dell’Università di Parma coordinato da Giacomo Rizzolatti, i neuroni specchio sono stati originariamente individuati nella corteccia premotoria ventrale del macaco. Essi si attivano sia quando la scimmia esegue uno specifico atto motorio – ad esempio afferrare un’ arachide – sia quando essa osserva un altro individuo (scimmia o uomo) eseguire un atto motorio identico o simile.
Molteplici esperimenti mediante tecniche non invasive di neurofisiologia ed esperimenti di brain imag-ing (visualizzazione dell’attività cerebrale in vivo), hanno dimostrato che un meccanismo specchio è presente anche nell’uomo.
Come nella scimmia infatti, l’azione osservata raggiunge le aree motorie e le attiva.
In questi ultimi anni, una serie di esperimenti è stata condotta anche per quanto riguarda le emozioni, per verificare cioè se le stesse strutture corticali che si attivano quando un individuo prova un’emozione si attivino anche quando questi osserva un’emozione simile in un’altra persona.
Questa scoperta ha portato ad un importante cambiamento di paradigma scientifico perchè ha indotto a considerare come interconnessi l’aspetto motorio e il processo della cognizione.
Queste cellule sono posizionate in una regione chiave del cervello, quella che corrisponde alla capacità umana di cogliere i sentimenti altrui e di capirne le intenzioni.
I neuroni specchio sono utilissimi per spiegare, dal punto di vista fisiologico, il metterci in relazione con gli altri.
Quando conversiamo con qualcuno, la trasmissione delle informazioni va oltre la semplice comprensione delle parole, è proprio bello ciò che può avvenire: un fluire di emozioni condivise che immerge i partecipanti in una comunione metalinguistica.
Romina Bracchi