Spazio Adulti. Il corso di sci e… di vita

Ho 45 anni e sono sposata con un appassionato sciatore. Mio marito ha sempre sciato, fin da quando era piccolissimo ed ha trasmesso questa sua passione a due dei nostri tre figli, ma solo perché il terzo è ancor troppo piccolo per infilarsi gli sci.
Io invece non ho mai sciato, nonostante le richieste e le insistenze di mio marito…. A dire il vero quando ero più giovane un tentativo l’ho fatto, ma una brutta caduta mi ha fatto cambiare idea immediatamente.
Lo sci è uno sport che mi ha sempre trasmesso incertezza e timore; incertezza per il fatto che con gli sci ai piedi bisogna riuscire a stare in equilibrio e timore per la probabilità di cadere e… farsi male.
Lo scorso anno, però, ho cambiato idea.
Sì, perché ho pensato che tra qualche anno, quando tutti in famiglia scieranno, dovrò passare le domeniche da sola in rifugio o a passeggiare sulla neve, e privarmi della possibilità di condividere del tempo con tutti loro.
Perciò mi sono decisa e mi sono iscritta ad un corso di sci organizzato dalla scuola dei nostri figli.
Il primo approccio è stato un immediato disastro: sul terreno pianeggiante riuscivo a stare in piedi, ma quando affrontavo la discesa non riuscivo proprio a reggermi, perdevo l’equilibrio e… cadevo… mi rialzavo e… cadevo… E ancora mi rialzavo e cadevo, cadevo, cadevo…
Ad ogni caduta facevo sempre più fatica ad alzarmi, anche a causa del dolore sempre più intenso, e perciò ero sempre più scoraggiata; gli altri genitori, principianti come me, se la cavavano decisamente meglio, riuscivano a reggersi in piedi, certo barcollavano ma cadevano molto meno di me, o non cadevano affatto.
L’istruttrice è stata molto gentile: “signora non si preoccupi vedrà che andrà meglio, continui a provare” e anche gli altri genitori del corso cercavano di incoraggiarmi e confortarmi. Era quello che pensavo anche io, “ce la faccio” mi ripetevo. “Sono una discreta sportiva e riesco bene in tutto, ce la farò anche questa volta”.
D’altra parte sono del segno dell’Ariete, determinata e testarda, e quando voglio arrivare da qualche parte ci riesco, stringo i denti, batto i pugni, ma ce la faccio.
Però questa volta… questa volta è stato diverso.
Le mia certezze hanno cominciato ad incrinarsi quando mi sono resa conto che con il passare del tempo non miglioravo affatto, anzi continuavo irrimediabilmente a cadere.
Anche l’istruttrice, ad un certo punto, ha dovuto mollare: mi ha detto che non poteva lasciare soli gli altri del corso per seguire solo me e mi ha affidata ad un suo conoscente incontrato per caso sulla pista, perché mi accompagnasse in fondo alla discesa.
Io intanto ero sempre più scoraggiata, arrabbiata, delusa e imbarazzata.
Ogni volta che cadevo il mio senso di inadeguatezza aumentava, ero sempre più sfiduciata, avvilita, demoralizzata, e tutti questi sentimenti mi stavano sopraffacendo a tal punto da farmi sentire totalmente incapace e completamente sola.
Non avevo ricordi di essermi mai sentita così.
Alla fine delle due ore di lezione mi sono sentita sollevata, finalmente era finita, mi sono tolta gli sci e me li sono caricati in spalla, decisa ad arrivare all’auto e togliermi definitivamente anche gli scarponi.
Nel breve tragitto tra la pista e l’auto ho pensato di mollare tutto, di rinunciare, che tutto sommato forse potevo accontentarmi di passeggiate solitarie sulla neve.
Ma ho incontrato una mia cara amica che si è accorta subito del mio stato d’animo, e mi ha chiesto cosa mi stesse succedendo. Sono esplosa e le ho rivoltato addosso tutte le mie frustrazioni. Lei mi ha guardata e, scrutando i miei occhi lucidi, ha dato voce al mio stesso pensiero: “ma se veramente stai così male perché non lasci perdere?”
E qui è successo qualcosa di inaspettato.
La mie labbra di sono socchiuse e prima che io potessi avere pienamente coscienza di ciò che stavo per dire ho sentito la mia voce che diceva: “no, non mollo, devo dimostrare ai miei figli che gli impegni si portano a termine, anche se sono faticosi”.
Voi stenterete a crederlo, ma nel momento stesso in cui ho sentito la mia voce pronunciare questa parole ho compreso nell’intimo mia figlia, muta selettiva.
Ho capito cosa significhi combattere contro le proprie paure, contro un tarlo che ti blocca e che ti impedisce di essere te stessa, contro qualcosa che è più grande di te e che ti senti dentro.
Ho capito cosa significa sentirsi inadeguati, incapaci, sopraffatti e soli.
Ho capito come si deve sentire mia figlia quando non riesce a fare quello che vorrebbe, cosa prova quando vorrebbe rispondere ad una domanda ma non ci riesce, perché si rifugia nel suo silenzio, in un estremo tentativo di difesa.
Ho compreso il suo dolore, la sua angoscia, le sue sofferenze.
Ho capito quanto le costi affrontare tutto ciò e quanta sofferenza è costretta a provare, ogni giorno, tra delusioni e insuccessi, nel tentativo estremo di attaccare e vincere questo nemico.
Ma a differenza di me, mia figlia combatte contro queste paure ogni giorno da 8 anni, io invece le ho affrontate solo per poche ore, la durata di un banale corso di sci.
Non ho nascosto le mie angosce a mia figlia, le ho raccontato della mia paura di cadere, di farmi male, della vergogna che ho provato quando gli altri riuscivano e io no, di come mi sia sentita inetta e inadeguata.
Lei mi ha vista quando ero in difficoltà sulle piste da sci, mi ha vista ruzzolare, rialzarmi e cadere, e ancora cadere, ha assistito al mio fallimento e mi ha sentita dare sfogo alla mia sofferenza.
Ma è stata lei, muta selettiva, a darmi il coraggio di affrontare le mie paure, i miei timori e a darmi la motivazione per portare a termine l’impegno che mi ero presa.
Ora finalmente sciamo tutti insieme.

 

Daniela B.